Uno degli ultimi esempi di Sacra Rappresentazione di memoria medioevale, ospitato da cinque anni ed ancora rinnovato nello stile e nell'interpretazione.
Tra le tante opere e maschere che la città di Napoli ha consegnato alla storia del teatro in modo durevole e indiscutibile un capitolo a sé meriterebbe Il Verbo Umanato di Andrea Perrucci più noto al pubblico come La Cantata dei Pastori. Il lavoro che si presenta come uno degli ultimi esempi di Sacra Rappresentazione di medioevale memoria ha per secoli attirato su di sé la curiosità del pubblico di ogni fascia sociale e l’interesse di tanti musicisti e studiosi che in periodi diversi hanno dato il loro contributo alla messinscena del capolavoro. Sicuramente un rilievo notevole ebbe l’opera di elaborazione e riproposta al pubblico che porta la firma di Roberto De Simone e della Nuova Compagnia di Canto Popolare seppure non va trascurato l’interesse che negli anni la cantata ha suscitato da parte di compagnie teatrali minori o di gruppi amatoriali.
Da cinque anni la Cantata dei Pastori è una piacevole “abitudine” natalizia alla Domus Ars ed anche quest’anno il musicista Carlo Faiello ha voluto rinnovare quest’antica tradizione proponendo stavolta lo spettacolo in una veste più essenziale e puntando soprattutto sulla musica, realizzando quindi la cantata in forma di concerto più che di performance teatrale. Lo spettacolo è riuscito pienamente nel suo obiettivo di catalizzare l’attenzione sui canti di origine popolare arrangiati in una nuova veste da Faiello, che ha voluto ridurre al minimo la drammatizzazione del testo affidando al bravo Franco Iavarone il ruolo di Belfagor ed alla versatile Antonella Morea la voce narrante che a tratti ricorda al pubblico le diverse parti della Cantata ed in più punti rievoca la presenza di alcuni personaggi come il noto Razzullo, scrivano inviato nella lontana Palestina.
Questa versione dell’ opera volutamente si apre e chiude con la presenza di Belfagor, diavolo tratteggiato con spunti istrionici e beffardi, decisamente sopra le righe soprattutto nella convincente interpretazione di Iavarone che dà con la sua voce potente e suadente un taglio tutto particolare al personaggio. Di grande spessore l’interpretazione di Antonella Morea soprattutto come cantante, il suo timbro così particolare e le sue capacità interpretative hanno dato una cifra del tutto originale ai pezzi eseguiti assieme ai musicisti del quintetto Domus Ars. Il quintetto poi formato da ottimi professionisti e diretto dallo stesso Faiello, ha dato buona prova delle proprie capacità di coesione e suono dell’ensemble. Un plauso meritano anche Fiorenza Calogero, Massimo Masiello e Arcangelo Caso che hanno eseguito i brani cantati con grande espressività e trasporto permettendo alla struttura di tutta la performance quella fluidità e scorrevolezza di cui necessitava la Cantata così rielaborata.
Grande successo da parte del pubblico che ha applaudito incessantemente i bravi artisti chiedendo a più riprese un bis. Unico appunto da faersi al lavoro è forse la scelta dei testi che andrebbero a completare l’architettura dei canti, e la banalità di alcune citazioni filmiche che contrastava troppo con la bellezza dei pezzi musicali. Eppure una così brillante esecuzione ha permesso a tutti di non darci troppo peso, rinnovando il miracolo dell’esecuzione della Cantata e quella sua ritualità forse più pagana che cristiana, il cui fascino resta inalterato o addirittura sembra rinnovarsi col passare degli anni.